E poi arriva un punto in cui non riesci più nemmeno a disperarti: il tempo della commiserazione è scaduto e per la sofferenza non c'è più spazio, non c'entra più nemmeno uno spillo, qui dentro.
Ho voglia di stare bene e di far stare bene chi è intorno a me. Voglio addobbare la casa con le luci, cucinare muffin e crostate - voglio aiutare mia madre a fare l'albero, come se fosse il solito natale di tordelli e vischio sopra la porta del salotto, come se non venissimo da un anno di lutto e non ci preparassimo a un gennaio all'ospedale.
Arriva un punto in cui non piangi più, perché piangere è davvero la cosa meno intelligente da fare.
Mi guardo dentro e penso che se dovevo cambiare allora è questo il momento buono: se non cresco ora non succederà mai più, e resterò per sempre una ragazzina dalla lacrima facile, che vorrebbe solo correre a nascondersi in un angolo.
Ma ora anche quell'angolo non esiste più: quest'anno mi ha tagliato tutte le vie d'uscita, mi ha messo davanti alla realtà nuda e cruda e non è stato un bello spettacolo.
Vorrei recuperare le energie per rimettermi a scrivere, a volte mi sembra solo un miraggio lontano: ho davvero partorito tre libri, è successo sul serio?
Ero proprio io quella che credeva che sarebbe stato sempre così facile, che si incazzava anche se tutto non andava come aveva immaginato?
Di quelle speranze puerili adesso mi vergogno, ma nessuno mi aveva detto di stare attenta a non trasformare i miei sogni in zavorre, di non permettere a qualcosa che non dipendeva da me di rendermi infelice.
Eppure è stato così: ho confuso il viaggio con la meta, ho sofferto troppo quando non avrei avuto assolutamente nessun motivo reale per non godermi in pieno tutti i doni che mi erano toccati in sorte. La salute, una famiglia solida alle spalle, un lavoro sicuro e un amore vero e sincero con cui condividere tutto quanto. Non mi mancava niente, ma io pretendevo di più: ero arrogante e sciocca mentre mi sentivo incompresa e defraudata di qualcosa che mi spettava per diritto.
Poi ci è crollato il mondo addosso e mi sono accorta che di quelle ambizioni in fondo non me ne importava niente: scrivere contava quando era un fatto prima di tutto privato, in un altro modo non ne valeva la pena.
Oggi sono così piena di rammarico per la persona che sono stata che ho avuto paura che non mi sarei più rimessa davanti a una tastiera.
Poi mi sono ritrovata a buttare giù un raccontino per una rivista di viaggi, una cosina da nulla, ma ho sentito di nuovo la scarica sulla punta delle dita, quella magia strana che è come l'orgasmo, o ci arrivi oppure no.
E ho capito che io quella magia ce l'ho e non ci posso rinunciare, perché fa parte di me e non voglio lasciarla scivolare via.
Aspetterò di essere pronta a rimettermi in gioco ma solo perché mi fa felice. Solo per me stessa.
Ho voglia di stare bene e di far stare bene chi è intorno a me. Voglio addobbare la casa con le luci, cucinare muffin e crostate - voglio aiutare mia madre a fare l'albero, come se fosse il solito natale di tordelli e vischio sopra la porta del salotto, come se non venissimo da un anno di lutto e non ci preparassimo a un gennaio all'ospedale.
Arriva un punto in cui non piangi più, perché piangere è davvero la cosa meno intelligente da fare.
Mi guardo dentro e penso che se dovevo cambiare allora è questo il momento buono: se non cresco ora non succederà mai più, e resterò per sempre una ragazzina dalla lacrima facile, che vorrebbe solo correre a nascondersi in un angolo.
Ma ora anche quell'angolo non esiste più: quest'anno mi ha tagliato tutte le vie d'uscita, mi ha messo davanti alla realtà nuda e cruda e non è stato un bello spettacolo.
Vorrei recuperare le energie per rimettermi a scrivere, a volte mi sembra solo un miraggio lontano: ho davvero partorito tre libri, è successo sul serio?
Ero proprio io quella che credeva che sarebbe stato sempre così facile, che si incazzava anche se tutto non andava come aveva immaginato?
Di quelle speranze puerili adesso mi vergogno, ma nessuno mi aveva detto di stare attenta a non trasformare i miei sogni in zavorre, di non permettere a qualcosa che non dipendeva da me di rendermi infelice.
Eppure è stato così: ho confuso il viaggio con la meta, ho sofferto troppo quando non avrei avuto assolutamente nessun motivo reale per non godermi in pieno tutti i doni che mi erano toccati in sorte. La salute, una famiglia solida alle spalle, un lavoro sicuro e un amore vero e sincero con cui condividere tutto quanto. Non mi mancava niente, ma io pretendevo di più: ero arrogante e sciocca mentre mi sentivo incompresa e defraudata di qualcosa che mi spettava per diritto.
Poi ci è crollato il mondo addosso e mi sono accorta che di quelle ambizioni in fondo non me ne importava niente: scrivere contava quando era un fatto prima di tutto privato, in un altro modo non ne valeva la pena.
Oggi sono così piena di rammarico per la persona che sono stata che ho avuto paura che non mi sarei più rimessa davanti a una tastiera.
Poi mi sono ritrovata a buttare giù un raccontino per una rivista di viaggi, una cosina da nulla, ma ho sentito di nuovo la scarica sulla punta delle dita, quella magia strana che è come l'orgasmo, o ci arrivi oppure no.
E ho capito che io quella magia ce l'ho e non ci posso rinunciare, perché fa parte di me e non voglio lasciarla scivolare via.
Aspetterò di essere pronta a rimettermi in gioco ma solo perché mi fa felice. Solo per me stessa.
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