Questa estate - grazie anche ai consigli che ho ricevuto su Twitter - ho letto tre libri belli uno dietro l'altro. Non succedeva da anni, quindi mi va di condivederli con voi.
Uno in particolare, Canada di Richard Ford, mi ha davvero colpita. Ecco un narratore eccezionale, che per la sua capacità di penetrare la psicologia dei personaggi mi ha ricordato Yates, con in più una tendenza al lirismo calibrata in maniera perfetta e uno sguardo sui luoghi che colpisce a fondo.
I paesaggi aspri del Montana prima, le distese paludose e ghiacciate del Canada poi, diventano il contraltare perfetto per le dinamiche umane, non solo specchio ma persino concausa di quello che si agita dentro chi si trova a viverci.
L'aridità dei cuori e l'egoismo primordiale, che fa di una città come Great Falls tutto tranne una comunità, è facile da immaginare in uno spazio così poco adatto alla vita degli uomini, e a sua volta la solitudine esistenziale del protagonista, Dell, poteva forse esplicarsi meglio che di fronte alle pianure desolate della sua nuova patria canadese?
Il concetto di confine geografico somiglia a un'epifania montaliana, dove non si aggirano divinità ma solo i fantasmi di quello che siamo stati, di tutto quello che non potremo mai diventare. Nei punti di passaggio da uno stato all'altro - da un territorio all'altro - la realtà si fa più labile, più imperfetta, come se fosse sul punto di rivelare la sua vera faccia, di far crollare il fragile
equilibrio che la tiene in piedi.
Canada racconta una famiglia che va in pezzi a causa di una scelta apparantemente senza senso - rapinare una banca - messa in atto da una coppia da cui nessuno se lo sarebbe mai aspettato, ma alla fine del romanzo ci troviamo a chiederci se fosse davvero così improbabile che un ex pilota di aerei e una insegnante svaligiassero una banca o se non fosse piuttosto l'unico finale possibile per loro.
E pensare che davvero i gesti folli - che distruggono la vita che c'era prima e ti costringono a ricostruirne un'altra sopra - siano sempre stati annidati nella storia di chi li compie, pensare che non ci sia niente di casuale, che una vicenda discenda dall'altra come un fiume che corre verso il mare e ha solo una foce possibile a cui sboccare - pensarla così, aiuta chi è rimasto indietro, a raccogliere i cocci, o fa solo ancora più male?
Non lo so io, non lo sa Richard Ford, e alla fine del libro, quando ormai Dell ha una vita vissuta alle spalle da cui ricordare l'anno in cui la sua infanzia finì, non c'è più spazio per guardarsi indietro. Ognuno ha fatto quello che ha potuto, il meglio che ha potuto. E questo è quanto ci è dato: dobbiamo farcelo bastare, anche se non è molto.
Uno in particolare, Canada di Richard Ford, mi ha davvero colpita. Ecco un narratore eccezionale, che per la sua capacità di penetrare la psicologia dei personaggi mi ha ricordato Yates, con in più una tendenza al lirismo calibrata in maniera perfetta e uno sguardo sui luoghi che colpisce a fondo.
I paesaggi aspri del Montana prima, le distese paludose e ghiacciate del Canada poi, diventano il contraltare perfetto per le dinamiche umane, non solo specchio ma persino concausa di quello che si agita dentro chi si trova a viverci.
L'aridità dei cuori e l'egoismo primordiale, che fa di una città come Great Falls tutto tranne una comunità, è facile da immaginare in uno spazio così poco adatto alla vita degli uomini, e a sua volta la solitudine esistenziale del protagonista, Dell, poteva forse esplicarsi meglio che di fronte alle pianure desolate della sua nuova patria canadese?
Il concetto di confine geografico somiglia a un'epifania montaliana, dove non si aggirano divinità ma solo i fantasmi di quello che siamo stati, di tutto quello che non potremo mai diventare. Nei punti di passaggio da uno stato all'altro - da un territorio all'altro - la realtà si fa più labile, più imperfetta, come se fosse sul punto di rivelare la sua vera faccia, di far crollare il fragile
equilibrio che la tiene in piedi.
Canada racconta una famiglia che va in pezzi a causa di una scelta apparantemente senza senso - rapinare una banca - messa in atto da una coppia da cui nessuno se lo sarebbe mai aspettato, ma alla fine del romanzo ci troviamo a chiederci se fosse davvero così improbabile che un ex pilota di aerei e una insegnante svaligiassero una banca o se non fosse piuttosto l'unico finale possibile per loro.
E pensare che davvero i gesti folli - che distruggono la vita che c'era prima e ti costringono a ricostruirne un'altra sopra - siano sempre stati annidati nella storia di chi li compie, pensare che non ci sia niente di casuale, che una vicenda discenda dall'altra come un fiume che corre verso il mare e ha solo una foce possibile a cui sboccare - pensarla così, aiuta chi è rimasto indietro, a raccogliere i cocci, o fa solo ancora più male?
Non lo so io, non lo sa Richard Ford, e alla fine del libro, quando ormai Dell ha una vita vissuta alle spalle da cui ricordare l'anno in cui la sua infanzia finì, non c'è più spazio per guardarsi indietro. Ognuno ha fatto quello che ha potuto, il meglio che ha potuto. E questo è quanto ci è dato: dobbiamo farcelo bastare, anche se non è molto.
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