giovedì 29 novembre 2012

on the road

Pur se ancora in fase di rodaggio, questo blog è essenzialmente un taccuino di viaggio e io ancora non sono partita.
Devo preparare la valigie con cura, perché stavolta non vado via leggera.


Ieri sera alla presentazione del suo ultimo libro Christian Raimo mi ha stupito per la sua estrema lucidità, per la consapevolezza potrei azzardare politica sul valore e il senso della sua opera, perché il primo esageta del suo romanzo è proprio lui che l'ha scritto.
Non che io abbia una visione da invasata romantica della scrittura: non c'è nessuna forza trascendente a ispirarci, nessuna musa. Si fa fatica a concepire un romanzo. Si fatica a studiare la trama, a infondere linfa ai personaggi, a cercare di dire qualcosa senza spiattellarlo in faccia al lettore. Ci vuole tanto lavoro - e molti sbagli, e una dose ancora maggiore d'umiltà - per raccontare una storia che abbia davvero un cuore.
Forse bisogna andare ancora oltre per rimanere lucidi mentre questo accade.
Non siamo tramiti di alcun divino, se non del daimon sopito in ciascuno di noi.
Questo nucleo sincero, quest'alveo bianco e incontaminato, è l'unica cosa che resta di un bel libro quando togli tutto il resto: quando vengono meno l'intenzione dello scrittore, le sue idee sul mondo, i suoi ragionamenti, il messaggio che voleva far passare.

 Rispondendo a una domanda dal pubblico, ieri Raimo ha detto di aver lavorato coscientemente su alcune metafore ma che molte altre erano venute fuori senza che lui se ne rendesse conto, se non a posteriori.
Ho voglia di leggere Il peso della grazia e spogliarlo con calma, sfogliarlo come una cipolla, godermi ogni strato che viene via per vedere quello che mi rimarrà in mano una volta finito.
Anche questo è utile, quando si sta preparando un viaggio come il mio.

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