Perché scriviamo? Dopo aver letto l'ottimo articolo di Giorgio Fontana - e avergli dato ragione su tutti i fronti, sirene dell'ego comprese - mi sono detta che se è cosa buona e giusta che la spinta arrivi da dentro, quello che c'è fuori può contribuire a spezzare anche gli animi più tenaci.
Oggi riconosco che ci vuole una buona dose di masochismo per somministrarsi un libro come Lettere a nessuno quando si è ancora nella fase in cui gli editori nemmeno leggono il tuo manoscritto - e quando quella fase promette di protrarsi per molto tempo.
Ogni volta che le traversie dei miei scritti sfiorano il ridicolo mi ricordo che, dopotutto, Antonio Moresco è uno scrittore molto più bravo di me, e anche un essere umano parecchio più tenace.
Questo riesce ancora a consolarmi.
Mai come in questi giorni, con un romanzo che oggi approda in libreria sì, ma dopo due anni dalla firma del contratto editorale, e un altro che nel giro di due giorni riceve elogi sperticati e rifiuti secchi da persone diverse che dopotutto fanno lo stesso lavoro - ecco, mai come in questi giorni, sento la necessità di riconettermi con me stessa, di rinegoziare il patto con la scrittura.
E proprio mentre penso che sono diventata brava a incassare le delusioni, mi accorgo che alla fine anche quando le cose vanno bene - e il tuo libro esce, e le persone lo leggono e ne parlano e ritrovano qualcosa di loro - persino allora non mi sento molto più realizzata di prima.
Non così realizzata e felice come quando sono sdraiata sul letto con pc sulle ginocchia e la storia mi scappa di mano, e le dita si connettono con qualcosa che sta più sotto di me, che si muove dietro la coscienza, e mi regalano una pagina che vola da sola, un passaggio che mi risolve tutto il capitolo, un risvolto che mi serviva e io nemmeno l'avevo capito. Ma lo sapevo già.
Io scrivo per quei momenti lì. Non sono molti e forse non valgono tutta la pena che ci vuole per procurarseli, ma danno una dipendenza che non si dimentica.
Devo solo continuare a ricordarmelo quando il mondo mi chiuderà di nuovo la porta in faccia.
E trovare un titolo decente per il nuovo romanzo prima di finire la scaletta.
Oggi riconosco che ci vuole una buona dose di masochismo per somministrarsi un libro come Lettere a nessuno quando si è ancora nella fase in cui gli editori nemmeno leggono il tuo manoscritto - e quando quella fase promette di protrarsi per molto tempo.
Ogni volta che le traversie dei miei scritti sfiorano il ridicolo mi ricordo che, dopotutto, Antonio Moresco è uno scrittore molto più bravo di me, e anche un essere umano parecchio più tenace.
Questo riesce ancora a consolarmi.
Mai come in questi giorni, con un romanzo che oggi approda in libreria sì, ma dopo due anni dalla firma del contratto editorale, e un altro che nel giro di due giorni riceve elogi sperticati e rifiuti secchi da persone diverse che dopotutto fanno lo stesso lavoro - ecco, mai come in questi giorni, sento la necessità di riconettermi con me stessa, di rinegoziare il patto con la scrittura.
E proprio mentre penso che sono diventata brava a incassare le delusioni, mi accorgo che alla fine anche quando le cose vanno bene - e il tuo libro esce, e le persone lo leggono e ne parlano e ritrovano qualcosa di loro - persino allora non mi sento molto più realizzata di prima.
Non così realizzata e felice come quando sono sdraiata sul letto con pc sulle ginocchia e la storia mi scappa di mano, e le dita si connettono con qualcosa che sta più sotto di me, che si muove dietro la coscienza, e mi regalano una pagina che vola da sola, un passaggio che mi risolve tutto il capitolo, un risvolto che mi serviva e io nemmeno l'avevo capito. Ma lo sapevo già.
Io scrivo per quei momenti lì. Non sono molti e forse non valgono tutta la pena che ci vuole per procurarseli, ma danno una dipendenza che non si dimentica.
Devo solo continuare a ricordarmelo quando il mondo mi chiuderà di nuovo la porta in faccia.
E trovare un titolo decente per il nuovo romanzo prima di finire la scaletta.
Riconosco un certo telefilm nella fotografia o sbaglio?
RispondiEliminaCiao Ilaria,
L.
Complimenti per la tenacia, se quando vado in libreria inciampo nel tuo libro lo compro a prescindere. Anch'io ho avuto grossi problemi a far pubblicare un mio libro, si intitolava "Le origini fenicie di Garibaldi" e prendeva spunto da un antico scritto trovato nella cantina dei miei nonni che recitava "Garibaldi fu fenicio, fu fenicio in una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i suoi soldà" e proseguiva con "Goroboldo fo fonoco, fo fonoco on ono gombo..." a metà stesura del mio saggio mi sono reso conto del refuso, non era "fenicio" bensì "ferito"! Però a quel punto avevo già completato 10 capitoli e pur di finirlo ho tirato in ballo anche sumeri, babilonesi e ittiti. Poi l'anno scorso sfruttando il 150° anniversario dell'unità d'Italia me l'hanno pubblicato, subito un milione di copie vendute. Veniva usato come bomboniera nei matrimoni degli italiani residenti all'estero.
RispondiEliminaCiao L. bentrovato su queste sponde :) (hai riconosciuto molto bene!)
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