sabato 15 dicembre 2012

The Wire

This is America, man
(spacciatore anonimo, The Wire, 1° puntata)

 Avvicinarsi a The Wire come a una series qualunque, applicare le logiche e le categorie che utilizzeremmo per analizzare un prodotto televisivo - seppur di alta qualità - sarebbe un errore.
The Wire è ontologicamente una serie tv ma ha l'anima e l'essenza di un romanzo, un romanzo dannatamente bello: una grande narrazione corale alla maniera dei maestri dell'Ottocento che raccontando una città intera - Baltimora - ci parla della società occidentale tutta. Chi ci rivede I demoni di Dostoevsky non ha peccato di fantasia: sono gli stessi ideatori a confessare di essersi ispirati allo scrittore russo.
 Tutto è diverso da come ce lo aspettiamo: non ci sono climax o colpi di scena, non ci sono trucchi e nemmeno protagonisti. Niente personaggi ma persone, che appaiono e scompaiono dalla narrazione seguendo il moto delle loro vite, in una trama così fitta da trasformare l'artificiale in naturale, nel suo essere imprevedibile e insensata, proprio come la nostra esistenza.
 Così può succedere che Jimmy McNulty, il detective insubordinato che è cuore e motore della prima serie, rimanga una figura di sfondo nella seconda e nella terza, per tornare a imporsi nelle ultime due. Ma la protagonista resta sempre una sola, Baltimora: la città americana con il più alto tasso di criminalità, quella dove sono nati gli autori di The Wire, Ed Burns e David Simon, che mentre dipingono una metropoli spietata sanno anche dedicarle carrellate di una bellezza struggente, con uno sguardo che accarezza i vicoli dove spacciano i ragazzini e le aree industriali dismesse dove si annidano i tossici senza nasconderne mai l'oscenità, ma facendola propria fino in fondo.
 The Wire non concede niente allo spettatore. La visione va guadagnata, puntata dopo puntata, mentre ci caliamo negli anfratti di Baltimora e impariamo ad amare il rapinatore Omar, a tifare per l'eroinomane Bubbles, a fraternizzare con lo spacciatore D'Angelo, ad ammirare il genio del malvivente Stringer Bell.
 Ogni stagione affronta un aspetto della città: lo spaccio di droga, i traffici illegali nel porto, la politica, il sistema scolastico, la stampa. Ma tutto è connesso, tutto è fluido. “Segui la droga e trovi gli spacciatori, segui i soldi e non sai a cosa cazzo arriverai” profetizza nei primi episodi il detective Freamon e noi con lui ci troviamo a seguire piste che si diramano infinite volte, frattali di storie che abbracciano tutti, coinvolgono gli insospettabili e i soliti noti. 

Nessuno è pulito, nessuno è immune.
All in the game.
Che sia il gioco della polizia, che deve far calare le statistiche della criminalità più che smantellare il crimine.

Che sia il gioco della politica, dove il bene comune è sacrificabile di fronte alle ambizioni private. 

Che sia il gioco della giustizia, dove pubblici ministeri e giudici si adoperano solo per far carriera e la burocrazia regna sovrana.
Che sia il gioco della stampa, dove portare in redazione uno scoop anche inventato conta più che raccontare una storia vera.
Che sia l'eterno gioco della strada, dove si vive velocemente e si muore anche più in fretta.
 Qualunque sia il tuo gioco, devi seguire le regole. Non hai spazio per migliorare le cose: anche se c'è – e ci sarà sempre – la scheggia impazzita che prova a far saltare il tavolo, il sistema non si fa cambiare, è una montagna che non si sposta, al massimo puoi riuscire ad aggirarla, se sei davvero in gamba.
Così sono solo i ribelli a dover imparare la lezione, a venire puniti finché non la imparano, anche pagando con la vita. Sono i poliziotti che vogliono indagare fino in fondo e non si fanno corrompere dagli avanzamenti di carriera o dal quieto vivere, sono gli spacciatori che si rifiutano di uccidere a sangue freddo solo per dare il buon esempio, sono i giornalisti onesti che non accettano di pubblicare le menzogne.
 Chi capisce la lezione, riesce a ritirarsi, ad accontentarsi del buono che è riuscito a ottenere, delle piccole azioni che sono passate tra le pieghe del sistema e hanno cambiato la vita in meglio a qualcuno. Chi accetta la lezione, riesce a essere felice del topolino partorito dalla montagna.
Chi non ci riesce, continua a pagare.
È il fallimento del sistema americano in toto: della sua giustizia, della sua democrazia, della sua stampa, spesso osannate ed esportate come le migliori possibili.


 Alla fine delle sessanta puntate lo sguardo di McNulty - vinto ma non piegato - si perde insieme al nostro lungo le strade di Baltimora, per contemplare l'eterno ritorno. Il destino dei più giovani è stato tracciato e ognuno è pronto a prendere il suo posto nel gioco, a sostituire sulla scacchiera la pedina della vecchia generazione che si è tirata fuori.
L'infanzia è perduta, è dimenticata, e anche noi guardando ci siamo lasciati alle spalle l'innocenza.

Possiamo dirci soddisfatti?
No. Ma abbiamo molto su cui riflettere.

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