mercoledì 25 maggio 2016

I treni non esplodono

Abbiamo iniziato a scrivere questo libro quando tutto era ancora intero, prima del buio, con quel coraggio avventato che è il motore d'ogni impresa, con i nostri cuori che battevano all'unisono, con la felicità di due innamorati che insieme pensavano di poter rivoltare il cielo.
E ci siamo riusciti, nonostante tutto. Nel frattempo ci sono stati lutti, malattie, un matrimonio: la vita ci ha travolto e quanto ho vacillato sotto la sua ondata.
Hai visto, pensavi di non farcela, mi ha scritto la mia terapeuta quando l'ho invitata alla prima presentazione fiorentina. Ce l'ho fatta perché non ero sola, perché non lo sono mai stata e adesso non lo sarò mai più - ce l'ho fatta perché era la cosa giusta, perché non potevo permettere al mio dolore di sovrastarne uno tanto più grande, perché quei morti meritavano tutto quello di cui ero capace, perché avevamo il dovere di portare le voci di chi ci aveva aperto la sua casa e la sua anima il più lontano possibile.
Ce l'ho fatta perché anche se non c'eri più volevo che potessi essere ancora fiero di me.




"I treni non esplodono" raccoglie le storie della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, che costò la vita a 32 persone carbonizzate nei loro letti, nei giardini, nelle auto, decedute in ospedale dopo giorni o mesi di agonia. È un atto d'amore verso la città dove sono cresciuta, è la piccola luce che io e Federico volevamo accendere sul più grande disastro ferroviario italiano che rischia di rimanere impunito.

"I treni non esplodono" sono 3 anni di lavoro, siamo noi che ascoltiamo Daniela Rombi raccontarci il calvario di sua figlia Emanuela, è il registratore appoggiato sul centrino ricamato di una casa di periferia, sotto i gazebi di un bar, sono le lacrime che non riusciamo a trattenere nemmeno alla centesima stesura, sono le nostre mani che si stringono sotto il tavolo, senza bisogno di dire una parola.

"I treni non esplodono" è lo sguardo pulito di Massimo Palagi, che quella notte non era di turno ma lasciò la moglie incinta per andare a soccorrere quanti più feriti poteva; è l'esitazione nella voce di Silvano Falorni quando ci racconta di aver scavato per giorni sotto le macerie di via Ponchielli per ritrovare una traccia di suo fratello - un pezzo di ginocchio - spazzato via dall'esplosione.

È la tenace lotta per la sopravvivenza di Anna Maccarone, che combatte contro le ustioni per mesi senza perdere la speranza, è il sangue freddo del pompiere Antonio Cerri che nell'inferno di una strada in fiamme non esita a mettere la sua vita in pericolo.

"I treni non esplodono" è il libro che non avrei mai pensato di riuscire a scrivere e che esiste soltanto perché eravamo insieme, perché non siamo soli e non lo saremo mai più.
E per questo, io dico grazie.

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