Questo discorso inizia con me che
pedalo su Lungarno Corsini, dicono che è primavera ma fa ancora
freddo – non porto calze né lenti da sole, sento il dolore
sordo dietro gli occhi che racconta otto ore davanti al computer.
Questo discorso inizia con un tramonto
mediocre oltre i ponti che mi lascio alle spalle, sto andando a casa
e dalla borsa sale il profumo del basilico che ho appena comprato.
Ci sono io e tutti i pensieri che ho in
testa, tutti quei pensieri che potrebbero diventare idee se solo
ricominciassi ad ascoltarli – ho sempre subito la fascinazione
della facce degli altri, non riconosco le persone con cui sono uscita
a cena ma ho un talento innato per le somiglianze: ho appena
incrociato la moglie di Tim Burton, con perfetti occhiali tondi da
aviatore e capelli a fusillo, color grano sporco.
La fascinazione della realtà, come
sopravviverle? L'ho estirpato tutto questo maledetto prurito, perché
credevo non mi rendesse felice, perché temevo che mi stesse
distruggendo da dentro: perché non mi conduceva là dove sognavo di
essere. In alto.
Ho voltato le spalle lentamente, per non farmi inseguire: non una fuga ma un lento inabissarsi di tutti quei rituali che mi potessero condurre qui, dove sono adesso.
Eppure sognavo che qualcuno venisse a bussare alla porta per riportarmi indietro, per dirmi che il buco che avevo lasciato non poteva essere colmato. Ma non è venuto nessuno a consolare il mio orgoglio di bambina rifiutata.
Ho voltato le spalle lentamente, per non farmi inseguire: non una fuga ma un lento inabissarsi di tutti quei rituali che mi potessero condurre qui, dove sono adesso.
Eppure sognavo che qualcuno venisse a bussare alla porta per riportarmi indietro, per dirmi che il buco che avevo lasciato non poteva essere colmato. Ma non è venuto nessuno a consolare il mio orgoglio di bambina rifiutata.
Ho smesso di scrivere perché non ero più felice ma quando la disperazione è arrivata
sotto altre forme non avevo più un rifugio dove nascondermi.
Questo discorso finisce con me che apro
la nostra porta da hobbit e scarto le bollette e immagino di aprire
il mio vecchio portatile, seduta nel cortile. Ci siamo io, i panni
asciugati troppo a lungo e un ombrellone rosso sbiadito.
Ci sono tutti i miei pensieri che cantano e la stessa musica di sempre nelle cuffie. Ci sono io che non ho più paura e chiudo la portafinestra e alla fine torno a casa.
Torno a casa davvero.
Ci sono tutti i miei pensieri che cantano e la stessa musica di sempre nelle cuffie. Ci sono io che non ho più paura e chiudo la portafinestra e alla fine torno a casa.
Torno a casa davvero.
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