E poi nella mia provincia c'era questo filare di brave ragazze che non sapevano di essere così belle: io m'ardivo a studiarle solo da lontano, non tanto per la mia innata abitudine a mantenere una certa distanza dalle persone e dai fenomeni che incarnano, quanto per scovare la crepa che me le rivelasse davvero per quel che erano. Aspettavo di coglierle in fallo: dovevano per forza voler arrivare da qualche parte con quell'atteggiamento da sante, sempre misurate, sempre dal lato giusto, compassionevoli quanto basta per riuscire anche a non giudicare gli altri.
Il mistero di quelle ragazze era uno dei più insondabili per l'adolescente che ero, persa nei miei sotterranei, nei disastri sentimentali che avevo almeno il buongusto di mettere in atto abbastanza di nascosto perché dovessi renderne conto solo a me stessa.
Quelle ragazze sembravano non possedere l'istinto per l'ignoto, non erano divorate dalla tensione al volo che mi faceva prudere le mani, non conoscevano la passione che brucia le lenzuola e la notte ti lascia a studiare le crepe sul soffitto.
Ho aspettato per anni che mi rivelassero il segreto che celavano ma loro erano questo – e nulla più. Brave e belle ragazze di provincia: un fidanzato storico, o al massimo due, studi buoni ma non eccellenti, in chiesa solo per le feste, volontariato nel tempo libero e un po' di impegno politico, rigorosamente dietro le quinte.
Oggi sono quasi tutte accasate con figli e nessuna ha lasciato il paese, le poche che sono partite hanno trovato il modo di ritornare.
Oggi è con nostalgia che le ricordo, con la malinconia del tempo che ci è scorso addosso.
Con tutta la tenerezza per le cose che non sono mai successe. A loro e a me.
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