mercoledì 16 ottobre 2013

intorno all'assenza

Quando il peggio è già successo ti aspetti una strada tutta in discesa. Ma il vetro che rivestiva i nostri giorni è stato incrinato, tagliato esattamente a metà, e il vento penetra nella fessura, non cessa mai di ricordarci che non siamo più quelli di prima.
Il vento soffia forte e fa tanto freddo quaggiù. Io ci provo a credere che questo autunno sia la nostra primavera, la ricompensa per tutto quello che ci hanno portato via, ma non mi sembra vero quanto vorrei.
Niente è reale e in quei giorni non riesco a capacitarmi di quel che abbiamo passato: tenere duro è diventata un'abitudine così radicata che mi pare di non aver mai vissuto in un altro modo.

Ho paura.
La notte dormo troppo per non dormire male, i sogni mi proteggono e mi assediano, pretendono da me qualcosa che non ho più, qualcosa che dovrei recuperare.
Ho paura e la notte mi appello ai miei dèi, gli stessi che un tempo mi alitavano vicino alla nuca. Da quando sono andati via li sento più di prima: la loro assenza è la prova che tocco con la mano, che esploro con gli occhi stretti e le dita contratte.
Mi hanno lasciata sola perché imparassi a vivere lo stesso, perché diventassi grande anch'io, perché capissi che così dobbiamo stare: in affitto temporaneo, senza certezze.

Ho paura e la notte tesso un manto intorno a chi amo, una rete di promesse mai pronunciate, di lacrime da ricacciare indietro.
Io credo che arriverà la nostra primavera, perché se smetto di crederci non arriverà mai.


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